di Gaetano Morese
Con l’entrata dell’Italia in guerra il prefetto di Potenza, Adolfo Cotta chiese ai sindaci della provincia di prendere «[…] l’iniziativa per la costituzione di un Comitato di preparazione civile del quale siamo chiamati a far parte senza distinzione di colore e di opinioni, i capi degli enti pubblici locali e tutti i migliori cittadini. Tali Comitati in considerazioni delle maggiori necessità del presente momento in Basilicata, debbono anzitutto proporsi questi due scopi principali. Primo: prestare aiuto ed assistenza alle mogli, ai figli ed ai parenti inabili dei richiamati sotto le armi, raccogliendo anche all’uopo, con pubbliche sottoscrizioni mezzi pecuniari per integrare l’opera dello Stato nei soccorsi alle famiglie anzidetti. Secondo: preparare un’adeguata organizzazione per assicurare il prossimo raccolto granario in modo da rimediare alle inevitabili deficienze della mano d’opera occorrente; a tale scopo nei luoghi di maggior bisogno dovrebbero aprirsi iscrizioni di lavoratori volontari cui tutti i buoni cittadini senza distinzione di parte e di classe dovrebbero farsi onore di partecipare».
L’assistenza civile fu prestata su base volontaria, fu sussidiata dalla provincia, finanziata dalle sottoscrizioni pubbliche e nel caso del comitato di Potenza, questo si strutturò in tre sottocomitati: uno per l’assistenza alle famiglie dei richiamati; uno per l’assistenza scolastica ed infine quello per i profughi. Emanazione del primo erano la sala di scritturazione gratuita per i militari richiamati, l’ufficio per la ricezione di richieste di sussidio e di collocamento di manodopera e anche l’ufficio per le notizie alla famiglie dei combattenti. La raccolta dei fondi avveniva in occasione di serate e manifestazioni di beneficenza e le sottoscrizioni, oltre che per i sussidi, servivano anche per l’acquisto di sigari e sigarette da inviare ai militari al fronte, mentre localmente si organizzarono il confezionamento e la distribuzione di doni natalizi per i figli dei richiamati. L’ufficio notizie dei militari di Potenza nel 1918 poteva vantare, ormai, uno schedario composto da circa 51 mila fascicoli, nel 1917 aveva ricevuto oltre duemila richieste d’informazioni ed aveva gestito un movimento di oltre duemila e cento fra lettere e telegrammi, oltre ad aver condotto centinaia di ricerche di profughi. Aveva inoltre distribuito circa trentacinque mila fra foglietti e buste di carta, 2.600 cartoline illustrate e confezionati oltre mille e duecento pacchi da inviare ai soldati al fronte e ai prigionieri.
Nel 1916 il ministro Boselli affidò ad Ubaldo Comandini il neo istituito ministero dell’assistenza civile che dal 1917 ebbe anche competenze di propaganda interna, dando corso a programmi di assistenza per le famiglie dei militari e nel 1918 fu, poi, istituito il commissariato generale per l’assistenza civile e la propaganda interna. I provvedimenti statali, però, furono disattesi e a compensarli furono le associazioni comunali private a cui fu demandata l’assistenza civile e così questi comitati provvidero ad allestire asili e cucine popolari, organizzarono il lavoro domiciliare e feste di beneficenza, oltre ad assumere anche l’erogazione sussidi. Le associazioni svolsero inoltre propaganda patriottica al fine di educare la popolazione ai valori nazionali, alla disciplina e all’obbedienza militare. I comitati, a diffusione nazionale, nel 1917 si federarono nel privato organismo delle Opere federate di assistenza e propaganda nazionale, che comprendeva 80 segretari provinciali e 4.500 commissari, mentre la direzione della federazione fu assunta dal Comandini. In Basilicata dalla federazione nacque il sotto comitato dell’unione italiana di propaganda per la disciplina nazionale, presieduta a livello nazionale da Luigi Credaro e da Anna Messa Rebaudi. Il sotto comitato aveva come scopo «[…] portare nelle classi popolari la parola della fede e della Patria, e per sollevare e disciplinare l’anima del popolo per la resistenza sino alla vittoria». Furono, così, organizzate delle conferenze per le donne del popolo per sottolineare il loro ruolo d’incoraggiamento per i soldati al fronte e il loro impegno materiale sul fronte interno.
Per provvedere agli orfani di guerra si sussidiò il funzionamento delle istituzioni pubbliche di beneficenza ed in base al decreto luogotenenziale del 13 giugno 1915, n. 873 il prefetto di Potenza decretò, il 16 dicembre 1915, che i quattro istituti assistenziali provinciali di Potenza, Melfi, San Chirico Raparo ed Avigliano, unitamente alle opere pie, si unissero per costituire una federazione che, oltre ai posti già previsti nei quattro istituti, garantiva altri cento posti di ricovero di cui cinquanta con l’intera retta gratuita e cinquanta per la sola metà gratuita. Restando fermo quanto già consuetudinariamente espletato dalle istituzioni, a parità di condizioni d’accesso all’assistenza andavano preferiti i figli dei militari morti o mutilati di guerra e, in caso di sopravanzo di fondi, la federazione poteva dare accoglienza ai bambini in asili, ricreatori, concedere sussidi per l’allattamento, per ricoveri in case di maternità ed in istituti di cura delle malattie dei bambini, dando sempre precedenza ai figli dei militari caduti o dei feriti divenuti inabili al lavoro. A segnalare i singoli casi alla prefettura erano i sindaci e i presidenti delle congregazioni di carità, mentre il consiglio d’amministrazione della federazione era composto dal consigliere prefettizio addetto al servizio delle opere pie provinciali in qualità di presidente, dal medico provinciale, da un deputato provinciale come delegato del presidente della deputazione stessa, e da due rappresentanti eletti dalle istituzioni pubbliche di beneficenza federate. Nel consiglio provinciale di Basilicata si propose, inoltre, di distribuire i contributi a favore dei bambini e delle famiglie dei richiamati direttamente attraverso i comitati locali, così da prestare un tempestivo aiuto ad un disagio eccezionale e temporaneo, considerando che a contribuire con le proprie offerte erano anche le associazioni patriottiche costituite dalle colonie italiane all’estero soprattutto quelle di New York e San Paolo del Brasile.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, a Potenza si costituì anche una sezione della Croce Rossa, con al suo interno un comitato femminile che, oltre a confezionare indumenti per i soldati, prestò assistenza ospedaliera ai militari feriti, ricoverati a Potenza, organizzando anche dei cicli di conferenze con Sergio De Pilato. Fra l’altro la Croce Rossa Americana inviò una delegazione, composta dal capitano Richard Wallace e dall’ingegnere navale Edwin Cerio, italiano di nascita, che dopo aver dato un contributo in denaro al comitato d’assistenza civile di Potenza, visitò la provincia. A livello internazionale il contributo assistenziale lucano fu prestato da Rocco Santoliquido, nativo di Forenza, direttore della direzione generale di sanità pubblica e consigliere della Croce Rossa nazionale, il quale fu nominato per conto della Società delle Nazioni rappresentante della Lega delle Croci Rosse nazionali e, quindi, membro della commissione internazionale di coordinamento della politica sanitaria durante la Grande guerra, la cui sede era a Parigi.
In vista del primo inverno di guerra fu costituita la commissione centrale per la fornitura di indumenti alle truppe, presieduta dall’onorevole Barzilai, che aveva «[…] prevalente scopo di assistenza sociale, [per] completare l’opera riparatrice che il sussidio governativo tende a compiere a vantaggio delle famiglie dei richiamati, gravemente perturbate dalla guerra nella loro situazione economica», aumentando psicologicamente e moralmente la fiducia nel regno e la determinazione nella popolazione e nei combattenti, così da favorire l’esito vittorioso per la patria. Il prefetto di Potenza, Alfredo Cotta, costituì quindi la commissione provinciale di Basilicata in cui preponderante fu l’elemento femminile e che aveva come suo principale scopo quello di distribuire le materie prime, ripartire il lavoro, oltre che controllare e vigilare il confezionamento e la resa dei capi, quali calze, polsini, ventriere, ginocchiere, sciarpe, guanti e manichini di lana. La commissione provinciale assegnava ad ogni comune un quantitativo di lana governativa che i vari comitati comunali d’assistenza civile distribuivano per la lavorazione alle mogli o figlie dei richiamati, oppure alle donne prive di lavoro, così da intervenire a favore delle disagiate condizioni del momento, mentre signore e signorine di tutta la provincia che non avevano diritto al sussidio presero a confezionare gli indumenti gratuitamente, manifestando così il loro sentimento patriottico.
La disfatta di Caporetto incise sul morale anche in Basilicata e la prefettura di Potenza emise così il seguente comunicato: «In seguito ai dolorosi recenti avvenimenti circolano purtroppo con insistenza notizie esageratissime o prive di qualsiasi fondamento, generalmente pessimistiche ed allarmanti, circa l’andamento delle nostre operazioni militari e circa le misure adottate dall’autorità militare in zona di guerra. Tali notizie contribuiscono a deprimere lo spirito pubblico che in questi momenti deve essere mantenuto alto e fiducioso; la loro diffusione deve essere quindi rigorosamente repressa. A tale scopo, mentre si fa assegnamento sul buon senso e sui patriottismo dei buoni cittadini, si rammenta a coloro i quali si prestano a diffondere tali voci per incoscienza o in mala fede che ciò costituisce delitto punito (decreto luogotenenziale 20-6-1915) con la reclusione sino a due anni e con la multa a lire 3.000».
Nel novembre 1916 il presidente del Consiglio provinciale di Basilicata, Fabrizio Laviano, sottolineò come la guerra veniva combattuta da tutti, anche «[…] dalla popolazione civile, che ovunque ha dato prova di virile serietà di propositi; dalle maestranze che nell’officine hanno apprestato gli strumenti per la vittoria; dalla pubbliche amministrazioni, che, pur ridotte di numero, hanno raddoppianto il febbrile ed ognor più difficile lavoro – la guerra vera, però, quella affrontata con la barriera dei saldi petti e con la effusione del nobile sangue, è stata ed è combattuta dai contadini, dagi oscuri lavoratori della terra, i quali, in gran maggioranza, sono meridionali ed isolani, […]». Sempre il Laviano, nell’agosto del 1917 dopo aver esaltato il contributo di sangue versato per la patria dai contadini lucani partiti per il fronte, sottolineò, inoltre, come sul fronte interno fossero «[…] i vecchi, sono le donne, sono i giovanetti rimasti qui, che compiono sforzi mirabili: hanno continuato a coltivare le nostre terre, per modo da non fare diminuire punto la produzione, come altrove è avvenuto. Sono essi, che hanno accolto con disciplina ogni limitazione loro imposta: che non hanno mai levato una voce di protesta o di semplice doglianza: che hanno pagato, e pagano, le maggiori imposizioni, le quali hanno colpite le modeste industrie agricole e la sterile terra, sono essi infine che hanno dato i loro risparmi, e forse, in proporzione maggiore, il contributo al Prestito Nazionale». Il nuovo prefetto Secondo Dezza, poi, nell’intervenire al consiglio provinciale di Basilicata ricordò come da statistiche ricevute risultavano già più di duemila orfani di guerra in Basilicata, dipingendo anche un quadro della nostra provincia, impegnata a suo modo nell’affrontare il conflitto in corso: «Dalle cime dei monti, lungo le valli silenziose e profonde, giù giù fino al mare – avvampi il sole o insidii la malaria – il lavoro non resta. E affratellati nella santità del lavoro par che il vecchio comunichi all’adolescente la sua annosa esperienza e questi al vecchio stanco un po’ della vergine freschezza, del primo vigore delle sue forze. E fra essi e per tutto la donna che, nell’ansia affannata del lavoro, sente e riconosce, inconsapevole forse, l’omaggio più vero e più necessario alla virtù dello sposo e dei figli, vigilanti in armi per lei, per la pace della loro casa, per il loro paese».